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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Tecnico ma non monosex

18 Novembre 2011
Pubbliato su La Stampa il 15 novembre 2011
di Mariella Gramaglia

«Ho deciso di incontrare anche le rappresentanze dei giovani e delle donne. È a questi soggetti che dobbiamo orientarci pensando a chi voterà in futuro». Con una dichiarazione a sorpresa, Mario Monti ha dato ieri sera una curvatura non conformista, viva, vicina alla società, alla parola «scrupolo» cui aveva dichiarato fin dall’inizio di voler informare le sue consultazioni.

Il professore è uomo di cultura europea. Conosce bene i valori che caratterizzano la democrazia nell’Unione. Un monocolore di soli uomini ci confinerebbe ancora una volta nell’anomalia e nell’immaturità. Parte della nostra rinnovata credibilità, in un mondo fatto di Angela Merkel, Christine Lagarde, Hillary Clinton, deriverà anche dal ruolo non accessorio delle competenze femminili. La fotografia di dodici gentiluomini in giacca e cravatta che giurano nelle mani del Presidente sarebbe risultata a troppe, non solo in Italia, insopportabile.

Un governo di tecnici deve essere libero dalle microcontrattazioni di potere, ma non può ignorare le correnti profonde della società civile, cioè la politica nel senso più alto del termine. Molte italiane sono rimaste ferite dalle umiliazioni inferte all’immagine femminile dal governo che si congeda. Acqua passata, certo. Ma, perché davvero non macini più, non basta cambiare stile e linguaggio: si deve fare spazio a donne che lo meritano. Per risalire, dal 46,1% dell’occupazione femminile del nostro Paese almeno fino al 58,2% della media dell’Unione, occorre passione oltre che competenza. Ridare a metà dell’Italia la speranza che studio, impegno, ambizione abbiano valore di scambio nella società, è un fattore fondamentale di quella crescita cui il presidente incaricato ha fatto riferimento nel suo discorso d’investitura.

Forse è per questo che gli appelli a non dimenticare che l’Italia è fatta di due sessi si sono susseguiti dagli ambienti più diversi. Dal «Sole-24 Ore» a «Se non ora quando». Da «Vanity Fair», con una raccolta di firme promossa da Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano, all’associazione «Pari e dispari». Dalle reti sociali, che con il fatidico simbolo # che sottolinea l’urgenza del problema – promuovono tra le giovani la parola d’ordine «maipiùsenzadonne», alla assai adulta rete di professioniste che porta il nome di «Armida», al sito bolognese «Orlando».

Spariranno i ministeri senza portafoglio. Quelli che nei tempi fuori dalla tempesta servono ad accontentare molti senza troppo forzo. Dodici ministri, ministri veri, con impegni pesanti. Ma nessuno pensi che per questa ragione non è il momento. Forse meno abili nella passerella del presenzialismo, raramente ammesse a quelle che gli americani chiamano old boys networks, le donne brillano per il senso di responsabilità professionale. E i nomi circolano. Ne cito solo alcuni perché non si pensi a una presa di posizione astratta, mossa da pura ideologia: Anna Maria Tarantola, vicedirettore della Banca d’Italia, Luisa Torchia, docente di diritto amministrativo, Anna Maria Cancellieri, già stimata commissaria del Comune di Bologna, Lucrezia Reichlin, docente della London Business School, Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, Maria Teresa Salvemini e Silvia Giannini, economiste, Chiara Saraceno, sociologa, Ilaria Capua, la scienziata che ha isolato il virus dell’aviaria. Non si tratta che di esempi.

Il professor Monti conosce questi curricula e molti altri. Applicherà il suo scrupolo e il suo sentimento della democrazia. Per il bene dell’Italia.

 

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