Gentile redazione,
la lettura dell’articolo “Rubygate, le donne che non firmano” mi ha sollecitato alcune considerazioni che mi sento di condividere con voi.
Premetto – per contestualizzare le affermazioni successive – che sono ormai quasi 10 anni che mi occupo di donne, con particolare attenzione alle discriminazioni in ambito lavorativo. Non ho nè un passato “femminista” (troppo giovane, essendo nata nel 1973) e nemmeno un’esperienza di tipo sindacale. L’interesse e la passione per questo tema non deriva, quindi, da “retaggi ideologici” (passatemi la definizione infelice), ma semplicemente dalla personale convinzione che le donne abbiano diritto a condizioni di pari opportunità e che queste non sono ancora state raggiunte.
In questi anni ho avuto modo di conoscere da vicino questo mondo di “donne che si occupano delle donne” e quello che da sempre mi disturba di più è l’incapacità di fare “fronte comune”.
Qualsiasi iniziativa trova, sempre e comunque, un gruppo di donne pronte ad avversarla.
Dalla contrapposizione politica all’antipatia personale, mille ragioni possono giustificare opinioni diverse, ma si arriva comunque allo stesso identico risultato: donne che vanno contro altre donne. E il messaggio che passa – all’universo maschile, ma anche alle donne giovani, che si affacciano alla vita e al lavoro – è quello che le donne non sono in grado di sostenersi a vicenda, di aiutarsi, di lottare insieme.
Sulla vicenda di Ruby & Co. molto è stato scritto, detto e discusso. Andando oltre la meschinità della vicenda in sè e per sè, penso che la situazione abbia costituito un’occasione imperdibile per dare una sferzata di vitalità alla sonnacchiosa intellighenzia femminile di questo paese, forse un po’ troppo abituata a parlarsi addosso, senza preoccuparsi di coinvolgere , sensibilizzare, educare tutte le altre donne che – troppo impegnate a vivere e sopravvivere – non partecipano a convegni e non seguono dibattiti di cui, forse, poco riescono a capire.
Sono rimasta piacevolmente stupita dal fiorire di iniziative nate per controbattere lo squallore, mediatico e non solo, a cui stanno cercando di assuefarci. Politiche, intellettuali, ma anche donne comuni, hanno iniziato a scrivere, commentare, organizzare incontri e manifestazioni, proporre petizioni e raccolte firme.
Vi confersserò una cosa che farà inorridire qualche “purista”: ho firmato tutto e diffuso tutto, con mail, su facebook o in qualunque altro modo venisse indicato.
Non mi interessa se nella tal lettera c’è una frase che non mi aggrada o un concetto che non mi corrisponde perfettamente o se la tal petizione è stata proposta da una rappresentante di un’area politica in cui non mi riconosco. L’importante, in questo momento, credo sia affermare, in tutti i modi possibili, ci sono anch’io.
Ci sono e non sono d’accordo con quanto sta succedendo.
Ci sono e per pagare l’affitto e le bollette lavoro e non mi arriva nessun corposo bonifico da qualche anziano benefattore, perchè coltivo ancora l’illusione di fare l’amore per piacere.
Ci sono e, dopo aver tanto studiato e tanto lavorato, sono inorridita dal vedere fanciulle giovani e piacenti che ricoprono cariche politiche per le quali non hanno alcuna competenza.
Ci sono e sono stufa di questo maschilismo imperante che viene, più o meno sottilmente, legittimato da tanti uomini e, purtroppo, anche da tante donne.
Ci sono e sostengo il principio che ogni donna del proprio corpo debba essere libera di fare ciò che vuole, ma non venitemi a raccontare che le signorine ospiti delle famose cene sono delle sprovvedute, vittime indifese.
Non possiamo certo essere sempre tutte d’accordo. Le donne non sono un blocco granitico, bensì un mosaico di idee ed esperienze che spesso, inevitabilmente, si scontrano, ma questo non dovrebbe portare a disperdere la recente vitalità di pensieri e di azioni “al femminile” per la banale incapacità di riconoscersi un reciproco sostegno, a prescidere da idee politche, convinzioni personali, percorsi umani e professionali.
Vi ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente
Chiara Bedetti
L’ipocrisia e l’esempio di Gesù
Ringraziando del messaggio Anna Bravo, vorrei aggiungere questo passo del Vangelo di Luca 18:
10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
Chi ha fatto un pò di catechismo da bambina non può aver dimenticato il “chi è senza peccato lanci la prima pietra” di fronte all’adultera e nemmeno può non ricordare che i pubblicani e le prostitute, ha detto Gesù, ci passeranno avanti nel regno dei cieli. Gesù: ecco una figura maschile che ha veramente compreso e amato le donne nella loro bellezza e intelligenza (su questo vi propongo un approfondimento).
Grazie
Laura Derossi
Donne e uomini diversi dal “bunga bunga”
Come Consigliera di fiducia per i casi di molestia sessuale in Ateneo, alla luce dei recenti fatti a tutti noti che apprendiamo dai media, a prescindere dall’appartenenza sessuale, dal colore politico, religioso od etico di ciascuno di noi, mi sento di esprimere alcune considerazioni, spinta da un forte senso del rispetto per l’altro e senza alcuno spirito di tipo moralistico e convinta che certi comportamenti possano più facilmente alimentare e diffondere la molestia sessuale, oltre che ledere la dignità femminile.
La tutela del valore della “dignità” non è soltanto una cosa “di donne”, riservata alle donne, è molto di più.
I fatti denunciati e ciò che emerge dalle cronache non costituiscono certamente un buon motivo per essere soddisfatti, (e volutamente non ho scritto soddisfatte), del rispetto mostrato verso il genere femminile e dell’essere umano in senso lato.
Il “caso Ruby” e tutto ciò di cui i media si occupano ormai da mesi fanno “parlare” di un’Italia in cui moltissime donne non si riconoscono, in quanto il modello generale femminile che assurge è sempre più quello di una donna facile, di una donna frivola, leggera, incline a compromessi sessuali, a giochi di interesse, anche in forza di discutibili modelli comuni della donna come nudo oggetto di piacere e di scambio sessuale continuamente ostentati e rappresentati dai media, giornali, televisioni e pubblicità.
In tale contesto, si oscura così, completamente, tutto quell’ampio mondo femminile che lavora, che studia, che è motivato, che produce, che corre tutto il giorno impegnandosi in affari seri, che partecipa spesso brillantemente a concorsi o a colloqui in cerca di una occupazione, che fa acrobazie quotidiane per conciliare casa e lavoro, tra cura della famiglia, (figli, mariti, genitori anziani, familiari malati), e vita lavorativa, dimostrando capacità organizzativa e professionale anche maggiore rispetto a molti uomini.
Il modello femminile della nostra società e che dovrebbe essere parte integrante della cultura non solo di noi donne, ma della cultura nazionale, non può essere rappresentato da giovani avvenenti, spudorate, senza scrupoli e senza alcun valore morale, della persona e della dignità femminile, con cui proporre alle giovani generazioni scenari facili di carriera e di successo anche in contesti istituzionali e pubblici a vari livelli.
La recente mobilitazione di molte esponenti femminili, (e da qualche giorno, anche di molti uomini), della cultura, della politica, dello spettacolo è un segnale importante; è giunto, forse, il momento di contribuire con forza a promuovere la rinascita civile e morale del nostro Paese, di sollecitare le coscienze femminili e maschili per costruire un’immagine certamente migliore della donna, ma anche dell’uomo, per mostrare che il nostro Paese ha milioni di donne “diverse” e vogliamo sperare e credere di uomini “diversi”, che esiste una coscienza civile ed etica di cui abbiamo tutti fortemente bisogno e di cui farsi promotori anche in una sede, come quella universitaria, preposta all’istruzione e alla formazione intellettuale delle giovani generazioni.
Claudia Farina
Consigliera di fiducia di Ateneo per la molestia sessuale
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