“Ma perché volete spaccare il capello in quattro? Perché tergiversate sulle parole della manifestazione di domenica? Siete solo delle snob, femministe d’altri tempi. Diteci da che parte state. Vi sentite o no umiliate dal bunga bunga? E allora fate qualcosa, facciamo qualcosa..”. Così, con veemenza, una giovane amica che, come altre, non ha apprezzato dubbi e critiche sollevate da una parte delle donne del femminismo sull’appello “Se non ora, quando?”. Dubbi e critiche in cui mi riconosco.
Primo. Non mi va di rappresentare le donne “normali” contro altre che non lo sarebbero perché ritengono “normale” scambiare sesso con denaro. Se mai mi interessa capire perché tante spendono in questo modo la loro libertà. Basta la domanda a spiegare l’offerta? Vecchia questione e antico tabù nei movimenti delle donne la prostituzione. Se nessun uomo può dichiararsi estraneo allo stupro, possiamo negare noi che la prostituzione abbia a che fare con la storia delle donne?
Secondo. Non voglio essere usata da uno schieramento politico-giornalistico che “normalmente” non tiene in conto le donne, le loro ambizioni e il loro sapere e ricorre a loro solo quando è in difficoltà. La dignità delle donne non va “difesa”, piuttosto affermata. E vanno in tutt’altra direzione gli ammiccamenti, la complicità, il modo tutto maschile con cui i nuovi paladini delle donne raccontano i festini del premier. Se mai mi interessa capire come mai la politica d’opposizione abbia un così disperato bisogno di nutrirsi di scandali e di verbali delle Procure.
Terzo. Trovo fuori posto, fuori misura e fuori dalla storia che l’appello alla manifestazione parafrasi il titolo del romanzo di Primo Levi dedicato alla lotta contro il nazismo di partigiani ebrei russi e polacchi.
Rispondo quindi alla mia giovane amica che non mi sento umiliata dalle ragazze di Arcore. Sono troppo orgogliosa della mia piccola storia personale e di quella collettiva di tante per ritenere che possa essere messa in discussione dalle tristi notti berlusconiane.
Sono invece preoccupata e stupita del fatto che molti cittadini e cittadine, parlamentari, ministri e ministre, consiglieri, giornalisti del centro destra non abbiano ritenuto ovvio e “normale” spingere il Presidente del Consiglio a dimettersi. Almeno dopo la famosa telefonata in Questura e la grottesca trovata sulla nipote di Mubarak. Per buon senso prima ancora che per senso civico.
Mi preoccupa questa ostinata solidarietà di un parte del paese a un capo di governo privo di autorevolezza e di affidabilità. E poiché non è possibile che i buoni siano tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra, non basta a spiegarla il fatto che non ci sia ancora una chiara alternativa o che sia tutta colpa della tv. E’ di questo che dovrebbe occuparsi la buona politica, credo, oltre (o invece) che organizzare l’indignazione.
Ma non posso eludere la voglia di manifestare, di esserci, che molte ragazze, come l’amica che citavo all’inizio, esprimono. Voglia di ribellarsi contro il cattivo esempio che dà il potere. Che danno tutti i poteri mortificando i meriti a vantaggio dei favori. Infatti, come ha detto al Corriere della sera la giovane scrittrice Silvia Avallone, troppa è “la distanza tra le conquiste della coscienza e le condizioni reali”. E noi, le madri, molto ci siamo occupate della coscienza e forse troppo poco delle condizioni reali.