Sono rimasto molto colpito dalla notizia – riportata dai giornali per lo più senza particolare evidenza – che i comandi militari americani avrebbero previsto sanzioni gravi contro le donne soldato che rimanessero incinte mentre sono impegnate nelle operazioni belliche. E anche contro i loro mariti, compagni, responsabili della avvenuta fecondazione.
Da qualche cronaca è trapelato anche un certo imbarazzo all’interno dello stesso mondo militare americano. Ci sarebbe uno stato di necessità. Dopo tanti anni di guerra in Iraq e in Afghanistan, e di fronte all’immediata prospettiva di aumentare di decine di migliaia le truppe sul fronte afgano, non sembra facile garantire la presenza di tutti i militari necessari in prima linea. Dunque è difficile rimpiazzare i posti che restano vacanti quando le donne devono riporre i fucili mitragliatori e andarsene a casa per mettere al mondo un bambino.
Tuttavia la cosa ripugna. Difficile immaginare una mostruosità etica più grande: la guerra non solo legalizza il dare morte al prossimo, ma punisce e impedisce preventivamente le nascite.
In realtà la cosa non è poi così eccezionale. Anche sul fronte delle guerre quotidiane nel mondo del lavoro assistiamo a pressioni continue e ricatti dei datori di lavoro perché le giovani donne assunte si guardino bene dal procurare il danno aziendale di una gravidanza. E in fondo fare la guerra è diventato un po’ un mestiere come un altro. Un mestiere non solo orribile, ma inefficace e sempre più preistorico, nonostante le meraviglie della tecnologia “intelligente” e i recenti sforzi del preventivo nobel per la pace Obama di nobilitarne almeno le buone intenzioni di giustizia.
Discorso pronunciato di fronte a un’Europa che saggiamente sembra ancora esitare ad assumere pienamente il ruolo di superpotenza militare.
Ho letto recentemente una breve “storia dell’onore” intrisa di nostalgia per la perdita di questo buon vecchio sentimento virile così legato alla logica del duello e del combattimento. Una faccenda da cui le donne sono state non casualmente escluse fino alle guerre contemporanee di un mondo civile che ha prodotto e produce carneficine di civili, vecchi, donne e bambini.
E ora il bel problema delle donne-soldato: si possono o non si possono assegnare alle prime linee del fuoco? Possono o non possono partorire quando sono in trincea? Bisognerà ceder loro il passo anche di fronte al nemico? Che ne sarà del cameratismo dei baldi cadetti? E che ne sarà della figura femminile e materna da sempre simbolo di pace?
Chissà se le pari opportunità nell’esercito saranno l’anticamera del definitivo tramonto dell’appeal e dell’estetica del guerriero/a. O se al contrario ci faranno accettare la guerra come una banalità tra le altre.
Comunque, chi non si pronuncia con la necessaria forza contro una società che, nei fatti, disconosce tanto crudelmente il desiderio di procreare, e di poterlo fare serenamente e in pace, non dovrebbe avere voce in capitolo su quel “diritto alla vita” tanto retoricamente e astrattamente invocato per attaccare, in realtà, la libertà di una donna di avere o non avere un figlio.