“Mi sento così sola da avere, a volte, vere crisi d’angoscia all’idea che nulla cambierà nella mia vita”, così scrive Patrizia a don Antonio, che tiene la rubrica delle lettere su Famiglia Cristiana. Dice di avere 37 anni e di non sopportare più la sua condizione di donna single. E’ impegnata nel volontariato, cerca di essere gentile e generosa con tutti, “ma attorno a me vedo solo gente correre”, gente che vuole “consumare tutto in fretta”, che non ha tempo “di capire chi si incontra”. Spera nell’aiuto del Signore e si augura che la vita non le neghi “la possibilità di amare una persona, incondizionatamente e per sempre”. Non siamo su Sex and the city e don Antonio le ricorda che può esserci una solitudine peggiore, quella delle coppie sposate che non riescono a raggiungere “un grado minimo di intimità”. Poi aggiunge che la solitudine può anche essere una scelta e che, comunque, “non c’è pienezza di rapporto che possa colmare la sete di infinito”. Infine la invita a restare in vigile attesa e con il cuore aperto: “potrebbe passarti accanto la persona giusta”.
Guillemette Faure, 41 anni, single francese, ha un’altra ricetta e l’ha descritta in un libro intitolato “Un bébé toute seule?”. Intervistata da La Repubblica delle donne spiega che, se non si è incontrato l’uomo della vita, pazienza, ma almeno non si rinunci alla maternità. Si può scegliere l’inseminazione artificiale oppure l’adozione. (Scelte impossibili in Italia, perché è vietata ai single sia la fecondazione eterologa che l’adozione). La Faure non è estremista, ma rigetta l’obiezione che fare un figlio senza padre sia atto irresponsabile ed egoistico. “Rispetto ad altri casi saranno figli fortemente voluti. E poi chi dice che non avranno un padre in futuro?”. In quanto all’egoismo, “ci sono cose peggiori di desiderare un figlio e amarlo”, o no?
Patrizia Laura invece viveva con il padre di suo figlio, ma a 44 anni, dopo il divorzio, ha paura della solitudine. Chiede aiuto a dol’s – il sito delle donne on line. La risposta è pratica: la solitudine può essere un’opportunità, l’occasione per abbracciare nuovi interessi, leggere, ascoltare musica. Insomma riscoprire se stesse. Comunque “provi e mi riscriva”, conclude Mirella che ha offerto la consulenza.
Mettiamo invece che la coppia ci sia e bene affiatata. Nel tempo però lei cambia, cresce, diventa più autonoma. Il marito allora le scrive una lettera che manda per conoscenza a Natalia Aspesi (Il Venerdì): “sei più forte, sicura di te stessa, indipendente”, quindi ti lascio. Spero di trovarne un’altra “che somigli all’Anna di allora”. E cioè, come? La deduzione è facile: che sia debole, insicura, dipendente.
Già uscito su “Europa” del 17 giugno