Nata e cresciuta ad Arezzo; studi al Dams conclusi senza laurearsi, Donatella Poretti, è donna dal linguaggio preciso, fluente. Sa tutto sulle staminali e diritti degli utenti. Ha lavorato come rappresentante di prodotti da parrucchiere divorando, in macchina, chilometri di strade che corrono tra le colline e i cipressi di Piero della Francesca.
In macchina, per passare il tempo, da “ascoltatrice passiva“ di Radio radicale. Forse, stregata dalla voce di Massimo Bordin.
E’ l’immagine di Marco Pannella che mette a disposizione il proprio corpo per una battaglia di legalità in uno sciopero della sete, a spingerla verso il suo primo banchetto radicale (1995, campagna di raccolta firme per i 18 referendum).
Prende contatto con i militanti del Pr fiorentini. Sempre attraverso Radio radicale trova una forma di sostentamento e intanto “con lo stesso spirito politico“ si dedica all’Aduc, associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori.
Ha una bambina, Alice, di due anni. Il padre è dirigente dell’Aduc. Lei è alla seconda legislatura. Eletta in Puglia tutte e due le volte grazie a una legge elettorale che ti scaraventa in un posto senza che ci sia un minimo di legame con il territorio.
Dei Radicali l’ha sempre attratta “la mancanza di una ideologia e l’atteggiamento pragmatico per risolvere di volta in volta i problemi, offrendo ad una società che cambia, gli strumenti e le battaglie più adeguati“.
Stare ai tempi, ai bisogni, ai modelli di comportamento che corrono più della classe politica. Facile a dirsi, ma che avviene quando viene stilato un patto con i Radicali che equivale a ospitare nove candidature nelle liste Pd?
“L’accordo con il Pd era: voi ci date nove nomi e noi li eleggiamo. Ora siamo entrati nel gruppo Pd. Come delegazione al suo interno. Si tratta di fare emergere le posizioni che secondo me, sono maggioritarie nella società“.
Dunque, quando Pierluigi Bersani, ex ministro autore delle “lenzuolate“ liberalizzatrici, dice che “abbiamo la fortuna incredibile di avere con noi i radicali e la Binetti“ e che “bisogna rimescolare tutto e sfruttare questo patrimonio per trovare proposte nuove, non tattiche e non diplomatiche“ lei è pronta a “rimescolarsi“?
“Non ci interessa trasformarci in una correntina“.
Ho capito. Ma le cose forse non sono così semplici quando il riferimento va a un partito con una sua storia precisa e pratica politica e linguaggio e gesti e campagne e propaganda martellante. Esistono materie che dividono e devono essere prese (o respinte) iniziative e decisioni che lambiscono temi eticamente sensibili, che mettono in questione il corpo, la famiglia, lo stare insieme degli uomini e delle donne, che riguardano la vita (e la morte) delle persone.
Prendiamo il testamento biologico. Poretti è stata nella Commissione Sanità assieme alla senatrice Binetti. Un campo di battaglia vero, delle idee o di fantasmi?
“La posizione del presidente della passata commissione, Ignazio Marino aveva una diversità d’approccio da quella della Binetti, o dalla posizione di Emanuela Bajo Dossi. Il fatto è che Binetti rappresenta solo se stessa e poco più. Benché abbia avuto molto spazio dai media e potere di contrattazione, Pd compreso“.
Mi sta descrivendo la senatrice teodem come fosse la traccia lasciata nell’aria dal sorriso del gatto senza gatto di Alice nel Paese delle Meraviglie?
“Io scommetto sulla capacità, in quanto Radicali, di lasciarci coinvolgere, cercando alleanze anche impensabili. Non siamo mai stati chiusi, mai ostili a forze politiche molto diverse. Ho provato a parlare alla destra e alla sinistra. Può succedere che su un punto ci si ritrovi. D’altronde, dobbiamo avere presente che le leggi si fanno con le maggioranze. La lettura della società deve essere agile e mobile a partire dall’assunto che un paese immobile non sarà mai giusto“.
Marco Pannella, all’assemblea di Chianciano, ha invitato le sinistre, i Verdi, Bertinotti, a lavorare insieme ai Radicali. A sperimentare dei luoghi dove si produca politica. Solo che in Italia da un lato si suppone che la politica siano solo i parlamentari a farla; dall’altra, i parlamentari non riescono a togliersi di dosso le stigmate della casta. Una bella contraddizione, no?
“E’ vero. Il parlamento non rappresenta più il luogo autorevole delle istituzioni. Prevale una immagine negativa agli occhi di questa società che non si sente rappresentata. Io credo che così, la classe politica non possa sopravvivere più di tanto. Se il quadro politico si è semplificato, occorrono regole per istituzionalizzare la semplificazione che abbiamo raggiunto. Sennò, alle prossime elezioni salta tutto. Noi siamo il Partito democratico ma anche un partito democratico in quanto capace di utilizzare delle regole“. Regole che garantiscano la democrazia. Che le diano un senso.