Violentata a turno da sette uomini e condannata dal tribunale a 200 frustate e sei mesi di prigione. Il reato? Adulterio. E “promiscuità”. Il suo avvocato, difensore dei diritti umani, ora è sospeso dalla professione.
Dove è successo? In Arabia Saudita, dove alle donne non è concesso neppure di guidare l’automobile.
Della “ragazza di Qatif” parlano da più di un mese tutti i giornali del mondo. Il principe saudita, presente all’incontro di Annapolis sulla pace in medio Oriente, si è trovato in difficoltà con i giornalisti che lo interrogavano sul caso. Nell’articolo di The Indipendent (tradotto sull’Unità il 30 novembre) che riassume la vicenda, si legge che anche i violentatori sono stati condannati. A pene lievi, per sequestro di persona. Si tratta di uomini sunniti, la vittima appartiene invece alla minoranza sciita.
La differenza etnica spiega la sentenza? Contro di essa sono intervenuti anche Hillary Clinton e Barak Obama (Il Giornale, 23 novembre). Ma, secondo il Ministero della giustizia saudita, la donna “aveva provocato” i violentatori accettando di appartarsi con un giovane che non era suo marito (Asia News.it).
“Una logica – commenta Tahar Ben Jelloun (L’espresso, 1 dicembre)- che trova riscontro anche in Europa”. Che trovava riscontro, sarebbe più giusto dire. Molte cose, grazie alle donne, sono cambiate. Tra le pieghe della notizia si leggono, però, segnali che fanno ben sperare.
Quello musulmano non è un mondo immobile, prigioniero della sharia.
Infatti la donna ha rotto il silenzio e la vergogna. Si è battuta in tribunale e, dopo la prima sentenza, è ricorsa in appello. Tramite il suo avvocato ha fatto conoscere la sua storia. In secondo luogo, la sentenza ha destato scandalo anche sui giornali arabi. Compresi quelli sauditi, che hanno garantito l’anonimato della vittima. E, in terzo luogo, il marito –diversamente da quello che tutti si aspettavano- non ha cercato il divorzio, ma ha accompagnato la donna in tribunale.
Al Quds Al Arabi, il giornale palestinese edito a Londra, è stato il primo a parlare della ragazza di Qatif. Anche se continua a tacere sull’impunità dei delitti d’onore a Gaza e nella West Bank. Ne leggiamo su Liberazione (2 dicembre) in un’intervista a Andaleeb Adwan, di Women affais centre, una Ong per i diritti delle donne.
Solo nel 2007 sono state 36 le donne uccise per ragioni “d’onore” senza che qualcuno sia stato perseguito e punito. Il fenomeno è cresciuto negli ultimi tre anni, da quando è aumentato “il clima di anarchia e di insicurezza”. Cioè da quando Hamas ha preso il potere. Le donne uccise per lavare l’onore non hanno neppure il funerale. Vengono sepolte in segreto, di notte.
Questo articolo è già uscito su “Europa”