Quali sono le ultime notizie sul modo in cui si incontrano e si scontrano i sessi sulla scena del potere?
Se guardiamo al luogo in cui più tradizionalmente riconosciamo questa scena – il luogo della politica – qualcosa di nuovo sembra accadere. Le donne dell’Udi, e molte altre donne che vivono con passione la politica nei partiti e nelle istituzioni, hanno alzato il cartello di una rivendicazione risolutiva: poiché l’umanità è divisa in due, la rappresentanza nella politica, e in ogni luogo “dove si decide”, rispetti la regola del 50 e 50. Metà signori e metà signore. Non sopportiamo più lo scandalo di quei palchi, pulpiti, scranni, salotti televisivi, sempre e soltanto affollati di maschi con le loro giacche e cravatte.
Sembra una scelta che afferra un crescente senso comune.
L’Udi non ha ancora finito di raccogliere le firme per presentare una legge di iniziativa popolare, ed ecco che già il neonato Pd esibisce una assemblea costituente per metà (o quasi) femminile. Se ne stupisce sulla “Repubblica” Filippo Ceccarelli, che parla – chissà perché – di un partito “ermafrodita”. Ecco che Walter Veltroni nomina un “esecutivo” con più donne che uomini (nove a otto, scrivono i giornali, anche se forse dimenticano nel conto il ticket composto dal segretario e dal suo vice).
Del resto non ci avevano già pensato Zapatero e Sarkozy, con i loro governi di sinistra e di destra equamente divisi tra i sessi?
Ma non basta: la nuova legge elettorale di cui tanto si parla in Italia – promette da sinistra il costituzionalista Ceccanti – avrà liste proporzionali con uomini e donne alternati (proprio come chiede l’Udi), e una soglia minima del 40% nei collegi uninominali.
Sembra che da un giorno all’altro quello storico gap della scarsa presenza di donne nelle istituzioni della democrazia, che trascina il Belpaese così in basso nelle statistiche mondiali sul tasso di discriminazione sessista, sia sul punto di scomparire.
Ma ecco che si levano alcune voci molto dubbiose. Lia Cigarini cita su “Via Dogana” la femminista e scrittrice americana Grace Paley, che anni fa prediceva il successo delle battaglie femminili, ma avvertendo che le donne non avrebbero mai voluto una fetta della torta degli uomini, perché si tratta di un “cibo avvelenato”. E Vincino sul “Corriere” commenta le scelte al vertice del Pd con una vignetta in cui tre signore si dicono: “Tante donne e tutte scelte personalmente dal capo…”, ”E dov’è la novità?”.
Questa è cooptazione, inclusione subalterna – rincara la dose Cigarini, intervenendo a una discussione sul 50e50 organizzata sabato scorso a Roma da Fondazione Basso, “Via Dogana” e associazione DeA (www.donnealtri.it) – non c’entra niente con la democrazia. “Quello che vorrei discutere è se per noi vale ancora la pratica politica del partire da sé, in cui non si parla a nome di un’altra. Dubito che sia possibile nei luoghi della rappresentanza. Si dice che si vuole togliere alla politica il segno della mascolinità, ma poi quando le donne entrano nel sistema di potere della politica al maschile perdono il contatto con la pratica politica del femminismo. Inoltre l’assenza delle donne in questi luoghi della politica non è solo effetto di discriminazione, ma anche espressione di una critica”.
Partecipano, come sempre nelle discussioni che hanno un taglio femminista, più donne che uomini. Ci sono esponenti di Rifondazione comunista e della Sinistra democratica. Franca Chiaromonte, unica del Pd, con una posizione niente affatto convinta del 50 e 50.
Dice Maria Luisa Boccia: sono in Parlamento perché mi interessa la qualità della democrazia rappresentativa, anche nelle istituzioni è possibile la relazione tra donne, e questo al di là e oltre la questione del 50%. “Dico no alla democrazia paritaria, dico sì alla democrazia per i due sessi, come scrive Irigaray”. Bianca Pomeranzi: ho firmato per la proposta Udi perché la situazione italiana è vergognosa. Certo la quantità non garantisce di per sé la forza della parola politica femminile… Gabriella Bonacchi: è vero che quella delle donne è un’assenza critica dalla politica istituzionale, ma “questa assenza ha dei costi, e non è rimediabile con la ricerca di un altrove”. Fulvia Bandoli: no al 50e50, perché al massimo produce un raddoppio degli organismi dei partiti, dove i posti veri di potere restano agli uomini. E si è vista l’esigua quantità di donne ds che hanno appoggiato l’unica candidatura femminile per la segreteria del Pd, quella di Rosy Bindi. “Ma stare nelle istituzioni non è incompatibile con il partire da sé e mantenere forti relazioni femminili”. Anche Bia Sarasini critica il 50e50 come uno “sforzo male orientato”, ma delle quote in questo momento – dice – non si può fare a meno.
C’è chi invece – come Antonia Tomassini – difende la propria scelta di “stare fuori” da un sistema politico entrato in crisi e che “non funziona più”. Che cosa propongono su questa crisi le donne che stanno nei partiti e nelle istituzioni? Più che altro costruiscono lobbies “escludenti”. La ricerca di altri modi di fare politica allora “è necessaria”. E per Ida Dominijanni il bilancio del tentativo femminista di interagire con la politica dei partiti “ha avuto un seguito negli anni ’90 molto deludente”. Pure nel recente coinvolgimento femminile nella manifestazione della sinistra il 20 ottobre non è chiaro se e che cosa le donne abbiano “guadagnato”.
Anch’io ho detto la mia: andrebbero interrogati a fondo gli uomini che ora sembrano accettare come necessaria una presenza tendenzialmente paritaria dell’altro sesso. Questa sistemazione quantitativa del rapporto tra sessi e potere forse li esime da un esame più radicale della crisi della democrazia. Li dispensa dal ripartire dalla propria parzialità: non è strano che Veltroni invochi l’aiuto delle donne per affrontare il dramma della prostituzione, un prodotto della sessualità maschile? E questa “democrazia morente” non interessa per nulla il femminismo più critico nei confronti della rappresentanza?
Stefano Ciccone e Claudio Vedovati invitano a non guardare solo il lato maschile “negativo” nella crisi della politica. Esiste ormai anche tra uomini una ricerca che non si accontenta degli orizzonti istituzionali dati.
Ma il desiderio femminile di un confronto – certo conflittuale – con l’altro 50 per cento non è sembrato all’ordine del giorno di questa discussione.
Letizia Paolozzi l’aveva aperta con un segnale preciso: le reazioni anche “in eccesso” nella discussione sul 50e50 sono state “un bene”: un confronto tra la storia del femminismo e l’oggi della politica è mancato per troppo tempo.
Cecilia D’Elia aveva ricordato Giglia Tedesco: credo che il discorso molto schietto che si è avviato non sarebbe dispiaciuto a Giglia.