Una sconfitta secca? Oppure una vittoria comunque, quella di Rosy Bindi nelle primarie? E’ il caso di rifletterci, perché la prima volta di una donna che si candida a dirigere un partito riguarda tutte. Anche le più antipatizzanti. Il quasi 14 per cento vuol dire oltre trecentomila voti. Chi l’ha votata? Cattolici e cattoliche? Prodiani? Antiveltroniani doc? Femministe? Tra queste ultime era stata coraggiosa la scelta di Franca Chiaromonte, Letizia Paolozzi e altre dell’associazione Emily che hanno dichiarato pubblicamente di sostenerla. E Chiaromonte esprime soddisfazione per il risultato: “Si è assunta il compito di aprire la strada. La prossima volta per le donne sarà certamente più facile competere” (AGI, 15 ottobre). Bindi ha corso da sola, senza sostegno di partito, né di marito. E’ stata “coriacea come un guerriero acheo, determinata come un kamikaze” (Luca Telese su Il Giornale, 14 ottobre). Ma anche la “più divertente”. Per questo, scrive Maria Laura Rodotà (Corriere della sera, 16 ottobre), ha interessato le “classi chiacchieranti”, gente vicina alla politica ma in modo critico. Come Sabina Ratti, manager Eni, che rivendica di averla sostenuta perché laica, solidarista e donna (L’Unità, 16 ottobre). Ma è sufficiente che abbia aperto la strada? La sconfitta non rischia invece di chiuderla quella strada? Di solito le donne pagano le sconfitte più che gli uomini. O sei la prima, la migliore di tutti, oppure era meglio se stavi a casa. Le donne per prime non perdonano le loro simili che osano troppo. Non c’è rete di pari a fare da protezione. Basta vedere quel che è successo in Francia a Ségolène Royal. Donna “priva di qualità umane e di capacità politica”, “un’illusione”, nient’altro che una “populista di sinistra”: così la definisce Lionel Jospin, nel libro di cui Libération ha pubblicato succose anticipazioni (17 settembre). E Jospin può scrivere così, nonostante sia lui un grande sconfitto. Lei, Royal, vuole mostrarsi fiduciosa, dice che le sue “eresie” sono oggi riconosciute nel partito come “ motore del rinnovamento” (vedi l’intervista sull’ultimo numero di Grazia). Sembra però difficile che possa rimontare la china. Tutto sommato è meno rischioso il ruolo di moglie, per le donne che hanno voglia di protagonismo. Vedi il caso di Cherie Blair in Gran Bretagna che si vendica con memorie di fuoco del successore del marito. Ma lo stato civile più comodo, scrive Anselma Dell’Olio su Grazia, è quello di vedova di uno stimato politico.
Speriamo che a Hillary Clinton non venga in mente di avvelenare il suo Bill.
Apparso su “Europa” il 17 ottobre 2007