C’è un processo in corso di riarticolazione della politica. O forse, il tentativo di non soccombere a una sua completa disarticolazione. Nel campo del centrosinistra: Partito democratico da un lato; ricomposizione delle sinistre dall’altro. Anche chi ha la convinzione che non tutto si esaurisca nella rappresentanza e magari, come direbbe Luisa Muraro, fa politica “altrove e altrimenti“, è interessato a seguire i movimenti degli uomini e, nel mio caso, soprattutto delle donne che intendono dedicarsi a simili imprese.
Con una premessa: dopo il crollo del comunismo e la crisi della socialdemocrazia, molti dogmi e credenze che sembravano eterni, sono crollati. Forse proprio quel terremoto ha prodotto il rifiuto di meccanismi burocratici troppo pesanti. Servirebbe (nei partiti) un po’ di lucidità, di libertà per allontanarsi dalle formule. E per immaginare una nuova economia politica che non consideri i beni mercantili capaci di regolare, da soli, la vita sociale. E la vita quotidiana, nella quale ci sono cose che le organizzazioni di partito nemmeno suppongono.
Servirebbe (di nuovo) una buona dose di insolenza per contrastare “la verticalizzazione“ (Giuseppe de Rita) delle decisioni che incidono sulla rappresentanza. Andare a Porta a Porta, Matrix, Ballarò è troppo poco per uscire dalla crisi dei partiti. Nuovi e vecchi.
Che ruolo hanno in questo complicato processo le donne?
Rosy Bindi si è candidata alla segreteria del Partito democratico. Ha bucato quel muro di consensi che sembrava ormai cementato intorno a Veltroni e al suo ticket con Franceschini. La discesa in campo di Enrico Letta è stata accolta con soddisfazione. Sensibilità, linguaggi, posizioni diverse, possono competere, arricchire un percorso appena iniziato. Inoltre, se il ticket Veltroni-Franceschini punta a una formazione liberal-democratica, le difficoltà del welfare, l’indebolimento dello Stato, la spiritualità in rapporto alla laicità e contemporaneamente l’attestarsi da parte della Chiesa di Ratzinger sui “principi non negoziabili“, oppure il ritorno massiccio delle diseguaglianze, sono temi e problemi per i quali è importante avere un grande numero di proposte e di soluzioni che, senza gridare allo scandalo, entrino pure in conflitto tra loro.
Guardando dall’esterno, la scelta di Rosy Bindi fa simpatia. E’ volitiva; compete per ottenere il massimo. Ha compiuto un gesto di libertà che suscita ammirazione. Tra molte donne. Ci si aspetterebbe da quante si sono mosse (nel Partito democratico) con l’obiettivo di ottenere un 50% femminile nella futura assemblea costituente, di sentire il grido: Evviva! Ecco almeno una che punta in alto! E che a premere su di lei sia stata una parte dei prodiani non cambia la qualità del gesto. Macché. Sono arrivate dichiarazioni monocordi: Brava Rosy, coraggiosa Rosy. Però io voto Veltroni. E i due signori-maschi in ticket.
Il richiamo della foresta che teneva uniti è scomparso. Adesso, nei luoghi della politica, a tenere uniti sono le logiche di utilitarismo interno. Non ci stupisce più di tanto. Evidentemente, i posti sono importanti: io lavoro in segreteria regionale, in consiglio comunale, provinciale, come amministratrice, nelle municipalizzate: Veltroni e Franceschini si presentano fin da ora come il ticket vincente.
Per via di una “maggiore esperienza“ (così ha spiegato a sindaca di Napoli)? Comunque, i vincoli sono forti. Non ideologici, non identitari. Bensì pragmatici. Di fronte a “un regolamento delle primarie pensate per chi ha apparati, macchine, segreterie, sostegno logistico e corrispondenti in ogni luogo“ (Furio Colombo, anche lui candidato alla segreteria del Pd), ovvio puntare su candidati che hanno maggiori chances di vincere. Piero Fassino lavora al successo inappellabile di Veltroni. Mentre la scelta “seria” di molti margheritini – a parte il diessino Umberto Ranieri – è quella del giovane Letta.
Anche per questo le donne Diesse (con l’eccezione di Anna Maria Carloni e Franca Chiaromonte), non hanno risposto all’appello di Bindi. Ma c’è dell’altro. In un partito ormai senza corpo, che si regge sugli apparati, le donne dovrebbero avere anche loro degli apparati, cioè una forza alle spalle.
Non ce l’hanno, e sostituiscono quella forza con relazioni di affidamento, più o meno antiche, con gli uomini, con i leader i quali gareggiano, provandoci pure gusto.
In genere, nelle organizzazioni politiche (con qualche eccezione che conferma la regola) le donne preferiscono non gareggiare in prima persona. Non hanno mai scommesso più di tanto sul proprio sesso. Da dirigenti hanno il compito di difendere, tutelare le altre. Brave, capaci nella propria sfera di competenza, ma (forse per una vecchia idea e cultura della sinistra) appagata anche in posizione seconda. Per ragioni di fedeltà. Nel governo Zapatero, prima ancora in quello Aznar, adesso in quello Sarkozy sono le donne-ministre a nutrire maggiore devozione dei maschi nei confronti del premier.
Volete mettere la soddisfazione di sentirsi artefice del successo di qualcuno, senza dichiarare le proprie ambizioni e però realizzandole per interposta persona (di sesso maschile)?
La discesa in campo di Bindi un po’ spariglia, allarga il gioco. Ma secondo me lo allarga fuori dai partiti. In effetti, da altre postazioni come la Sinistra democratica o Rifondazione la sua candidatura è stata accolta con soddisfazione. Senza sbilanciarsi troppo. “Brava Rosy, coraggiosa Rosy, anche se noi non siamo nel Partito democratico“. Capisco che non si voglia cambiare partito. Ma quali altri gesti di libertà sapranno inventare donne che desiderano una sinistra più a sinistra del Pd? Quali relazioni di intelligenza potranno essere costruite tra donne dei vari partiti, presenti e futuri, almeno nell’ambito della maggioranza che così controvoglia sostiene il governo Prodi?
Bindi ha parlato del “coraggio di mescolarci tra noi, senza quote e senza sbilanciamenti di appartenenza“. Se ognuna resta inchiodata alla sua appartenenza, se una candidatura come quella di Marco Pannella viene respinta da un “comitato tecnico“ del Pd che a me ricorda chi reclama fallo in base a regole stabilite per il proprio vantaggio, ci sarà ancora qualcuno pronto a credere alla favoletta dei partiti nuovi, nuovissimi, che aprono finestre e porte ai semplici cittadini? O quanto meno alla diversità di culture politiche che pure attraversano la casa pericolante della maggioranza?
Ai miei occhi i partiti sono un mondo perso. Più verosimilmente, sono io persa ai loro occhi. Mi piacerebbe che Rosy Bindi fosse capace di smentirmi.