“Professoressa, ha mai provato a infilarsi un dito nel culo?“ Il filmato, e la registrazione su cellulare , è stato spedito su YouTube. Altri studenti si sono fatti immortalare da un video con aggressione a un disabile. Azioni dei “nuovi barbari“ immortalate dalla tecnologia. D’altronde, il preside di una scuola di Bari che aveva sequestrato il cellulare a uno studente, è stato picchiato dal padre e dal nonno dell’alunno.
Se in piazza san Giovanni il 12 maggio le organizzazioni cattoliche lasciassero perdere il presepe della “famiglia naturale“ e nominassero gli ultimi episodi di bullismo, andrei alla manifestazione.
Per la verità, il Vaticano la fa facile: allontanate i teppisti dalle classi. Ma questi teppisti tengono o no famiglia? Solo che i genitori non sanno dove sbattere la testa di fronte agli adolescenti aggressivi, rabbiosi, compulsivi, volgari, che ridono quando si nomina l’omosessualità; che immaginano le compagne di scuola come corpi da possedere o, peggio, da stuprare.
“Non sanno maneggiare la sessualità questi giovani uomini“ testimoniava l’insegnante Sandra De Perini (in un convegno dell’associazione Identità e Differenza che si è tenuto a Asolo). Verso i quattordici anni arriva l’esplosione della sessualità. Ma nessuno è pronto, né i genitori né la scuola italiana.
Va bene che il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni va alla manifestazione di san Giovanni. Però lui ce l’ha con i Dico. Savino Pezzotta (uno dei due portavoce, con Eugenia Roccella, della manifestazione) ha promesso di prendere un bloc-notes e di segnarsi i nomi dei deputati e senatori presenti per chiedere poi conto di ciò che faranno. Guai se li scopre a votare per il riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, anzi, per “ogni forma di similmatrimonio“.
Pezzotta è stato un bravo dirigente sindacale. Pragmatico, roccioso. Adesso si schiera in difesa della famiglia. Ma chi attacca, armi in pugno, questo “elemento portante della vita sociale“ (Benedetto XVI nella sua prima visita pastorale alla diocesi di Vigevano)?
Ovviamente, i Dico. Che pare minaccino l’unicità irripetibile della famiglia, basata sull’eterosessualità coniugale, dalla quale dovrebbe discendere fedeltà, stabilità, fertilità. Una eterosessualità coniugale immobile, legata alle tradizioni, non incline a guardare la realtà che cambia.
La realtà che cambia significa, al giorno d’oggi (abbiamo appena letto un’indagine parlamentare), meno matrimoni celebrati; meno figli; crescita dei nuclei monoparentali, dei e delle single. La famiglia tradizionale si modifica. E’ diventata una costellazione di nuclei familiari ma, per ragioni economiche che incidono sulla demografia (Franco Volpi in “Fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti“ Mondadori, Milano, pagg. 152, euro 16,50), questi nuclei disegnano una mappa di relazioni segnate da una libertà maggiore del passato.
Di questa libertà il femminismo fu responsabile nella sua analisi impietosa dei rapporti personali, quando rivendicò un modo diverso di vivere la sessualità e lottò contro il sessismo e la discriminazione. Fu in quel momento che la questione femminile trasmise forza allo “stato nascente“ del movimento gay, costeggiando la questione omosessuale.
Parte attiva nella trasformazione della famiglia, le donne sottoposero a critica (con la partecipazione della televisione, delle nuove tecnologie, con la fine della classe operaia, la “modernità liquida“ ecc.) l’autoritarismo del padre-padrone. L’uomo non poteva più comandare né decidere in solitudine.
Tra le spiegazioni alla base delle violenze che colpiscono le donne c’è proprio questa perdita del primato maschile. Ora, dove avvengono le violenze? Per il 90 % dei casi in famiglia. Se il 12 maggio a San Giovanni le organizzazioni cattoliche ricordassero questa terribile percentuale, andrei alla manifestazione.
Eugenia Roccella spiegava sul Foglio (del Primo Maggio 2007) che difendere la famiglia significa difendere “il luogo in cui in particolare l’esperienza femminile del materno si esprime“. Purché questa esperienza – la capacità femminile di essere due – significhi aiutare le donne a non essere madri quando non vogliono esserlo e aiutarle a essere madri quando lo vogliono. D’altronde, non bisogna “chiudere la donna in un destino puramente biologico“ aveva raccomandato nella Lettera ai vescovi (agosto 2004) sulla “collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo“ l’allora cardinale Ratzinger.
Per riassumere, in piazza san Giovanni andranno cattolici o laici non anticlericali che di altre “forme“ di famiglia non vogliono sentir parlare. Che Rosy Bindi, pur autrice assieme a Barbara Pollastrini del ddl sui Dico, non abbia invitato le associazioni dei gay alla Conferenza sulla Famiglia di Firenze, è una scelta che può avere una sua logica: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio“ (art. 29 della Costituzione). Il ministro della Solidarietà, Paolo Ferrero, invece di protestare con l’assenza, avrebbe fatto bene a portare alla Conferenza le sue critiche.
Il punto è che agli occhi di chi sarà alla manifestazione lo status giuridico delle coppie omosessuali rappresenta il vero sfasciafamiglie. Per la censura delle motivazioni serie che dovrebbero stare alla base di una riflessione sulla famiglia e per una ragione (futile), vale a dire che io amo il melodramma e sono a mio agio nel clima di solidarietà, di compassione del film di Almodovar “Tutto su mia madre“, non andrò in piazza san Giovanni.