C’è chi ha fatto scelte snob, come Il Riformista. Ha celebrato l’otto marzo dedicandolo a Mika, cantante pop, libanese, gay. Altri giornali l’hanno ignorato. Oppure, come La Stampa, hanno aperto il sito web alle mimose e alle opinioni di lettori e lettrici: “Non c’è nulla da festeggiare? Può darsi. Ma parliamone, almeno”. C’è chi ne ha parlato, in prima pagina, per dire che è una festa da abolire. Come Caterina Soffici su Il Giornale: “la vera festa della donna sarà quando non ci sarà più bisogno di una festa della donna”. Già sentito. Lo si diceva anche trent’anni fa.
C’è anche chi ha preferito, per distinguersi, prendersela con le femministe. Come Maria Laura Rodotà che sul Corriere della sera ha -(giustamente, s’intende)- ricordato l’imbarazzo delle donne di sinistra di fronte all’assassinio di Hina, la giovane pakistana uccisa dal padre (“quando una donna è vittima di un musulmano si teme di scivolare nel politicamente scorrettissimo”). E ha fatto notare che al suo funerale delle donne che contano e si impegnano, c’era solo Daniela Santanchè. La stessa Santanchè che è difesa dal “fuoco amico” delle colleghe di partito da Monica Luongo sul sito femminista www.donnealtri.it.
La scelta terzomondista piace sempre ai giornali patinati che così possono pubblicare belle foto a colori. Il Venerdì di Repubblica per esempio, uscendo il venerdì, appunto, dopo l’otto marzo, ha potuto scrivere in copertina: “passata la festa…torniamo alla realtà”. E la realtà è una sfilata di volti di africane, arabe, latino americane, asiatiche tutte infelici quanto basta. Analoga scelta editoriale quella di Donna moderna che però ha personalizzato la denuncia: 18 ritratti veri di donne perseguitate in diverse parti del mondo. Ma a pagina 150 ci ha proposto biancheria intima giallina, vestitini, scarpette, dolcetti tutti ispirati alle mimose. Inutile dire che sui giornali di sinistra-sinistra, come Liberazione o L’Unità c’erano appuntamenti, convegni e riflessioni. In molti casi riassorbiti dalla preparazione della manifestazione per i Dico di sabato 10 a piazza Farnese. Tanto che Marina Pivetta, su www.womenews.net, si chiede “sconcertata” come mai molte donne siano ancora convinte che “basti uno stato laico e neutro per dar loro gli stessi diritti di cittadinanza”. L’imprenditrice Anna Maria Artoni spiega infatti su Repubblica che per farcela nella vita e nella carriera non basta essere brave e preparate, ma bisogna avere “il coltello tra i denti”. E, soprattutto, non fare figli perché la famiglia resta un affare privato della donna e nessuno si preoccupa di aiutarla. Proprio il giorno prima era scoppiata la notizia dell’ospedale di Firenze. Di quel feto abortito alla ventitreesima settimana perché (forse) malformato e sopravvissuto dodici ore. Effettivamente se l’otto marzo è una festa c’era poco da far festa.
Ma forse l’8 marzo è solo una ricorrenza, e come tale dovrebbe essere accolta e rispettata. Una data che ha una sua storia bella e importante, come ha scritto Giulia Galeotti su Avvenire. E se le ricorrenze servono per la memoria, bene hanno fatto i radicali che si sono dati appuntamento per ricordare Adele Faccio nel trigesimo della sua morte. E bene ha fatto un piccolo giornale di Bolzano, la Neue Sudtiroler Tageszeitung, che ha messo la foto di Adele in copertina e l’ha raccontata a coloro che non hanno avuto la fortuna di conoscerla.