Lucia Mastrodomenico fu femminista.
Napoletana, mai reticente, diffidente però rispetto ai partiti politici tradizionali della sinistra. Proprio perché insofferente rispetto all’esclusione storica della cittadinanza femminile.
Provò, questa esclusione, a contrastarla. A modo suo. Senza mai chiedere tutela, inclusione.
Troppo fiera per piegarsi a combattere per l’ambizione politica, considerata come una disposizione maschile?
Ma no. Perché fu bellissima e questo le servì probabilmente come una corazza per guardare alle cose in modo appassionato ma standone alla superficie.
Alta, regale, pelle chiarissima, una cascata di capelli rossi, un corpo attraente coperto da abiti grandiosi, creatrice lei stessa di abiti che d’estate portava e Ponza, quando l’isola non era ancora un riferimento delle guide turistiche, Lucia Mastrodomenico accumulò curiosità diverse. Non impattò mai, credo per disinteresse, contro i bastioni maschili della politica. E del potere.
Si mosse tranquilla, con le sue qualità di donna e di profana della politica. Almeno, non preoccupandosi che altri – maschi – detenessero il monopolio della presa di parola e delle varie cucine elettorali della rappresentanza.
Fece molto, per Napoli e per il suo mondo.
Come si diceva allora, si impegnò per gli altri. Nella Mensa dei Bambini proletari di Montesanto, insieme a quei ragazzi di Lotta Continua – a partire da Goffredo Fofi – che nel ’72, raggruppando cattolici, piccolo-borghesi, qualche nobile, diede vita a un rapporto straordinario con i bambini ma anche con le donne del quartiere.
Un marito, un figlio, una sorella, Cinzia, che continuò il lavoro di sperimentazione pedagogica della Mensa, nata nel ’72, con un asilo ancora oggi funzionante.
Tra le sue relazioni, la più importanti, mai messa in questione, mai interrotta, mai ferita, quella con Luisa Cavaliere. Ambedue femministe, ambedue animatrici del pensiero che anche a Napoli legò con la pratica della differenza molti gruppi femminili, partecipò (con donne come Mariuccia Masala, Giovanna Borrello, Sandra Macci, Luciana Siddivò, Angela Putino) a esperienze di riviste (Madrigale per esempio) senza mai preoccuparsi delle difficoltà materiali, dei percorsi sussultori, aleatori, che le imprese femministiche hanno sempre seguito a Napoli, ma non soltanto.
Insieme a Luisa veniva a Roma alla Casa internazionale delle Donne. A Milano, alla Libreria delle donne.
Non volle mai abbandonare, nonostante i trenta anni passati a sfiorarci, discutere, provare a ripensare pratiche politiche, quelle sue radici, quei lacci fortissimi. Qualcosa che era per sempre,un patto mai tradito.
Leale, fedele, interessata alla rivoluzione nel campo del simbolico, del linguaggio e di organizzazione della società napoletana. La bellezza che portò con tanta leggiadria le permise di non provare mai un senso di impotenza di fronte ai pochi decisori. Alla loro arroganza. Non cadde negli eccessi, nelle seduzioni ma neppure nelle rivendicazioni. Probabilmente, non sentì il morso del potere dimostrando che c’è un modo lieve di stare nel mondo. Dal mondo scomparve, per un infarto, all’alba del 2007, accompagnata dal nostro stupore per il suo sorriso indimenticabile che non incontreremo più.